LA CORTE D’APPELLO DI TORINO CONFERMA LA CENTRALITA’ DELLA NOZIONE DI “CAUSA CONCRETA” NEL CONTRATTO DI SWAP
Commento a cura dell’avv. Giuseppe Angiuli
Con la sentenza del 22 aprile 2016 in tema di contratti derivati del tipo interest rate swap, i giudici della Corte d’Appello di Torino (I^ sez. civile, Presidente il dott. Luigi Grimaldi, relatrice la cons. Caterina Mazzitelli) hanno iniettato nuova linfa a quell’orientamento giurisprudenziale che in questi ultimi anni, facendo leva sul concetto di “causa concreta” del negozio, aveva già aperto le porte a diverse pronunce di nullità radicale di questa tipologia di operazioni finanziarie (cfr. ex multis, Tribunale di Bari, ordinanza cautelare del 15 luglio 2010, G.I. dott. Scoditti; Tribunale di Orvieto, ordinanza collegiale del 12 aprile 2012; Corte Appello di Trento, sentenza n. 141 del 3 maggio 2013; in senso sostanzialmente conforme, è da segnalarsi anche il celebre arret della Corte d’Appello di Milano, sentenza 18 settembre 2013 n. 3459, con l’unica distinzione che in quest’ultimo caso si fa riferimento al concetto generale di causa del contratto, anziché alla nozione di “causa concreta” di creazione giurisprudenziale).
La pronuncia in rassegna trae vita dalla vicenda di un mutuo a tasso variabile agganciato all’indice euribor semestrale, negoziato dall’acquirente di un immobile a cui l’istituto mutuante, al momento dell’erogazione del finanziamento, aveva venduto un prodotto swap collaterale ed accessorio, presentato come strumento di copertura per il rischio di eccessivo rialzo dei tassi d’interesse sul mutuo.
La struttura del contratto derivato in questo caso ricalcava le caratteristiche del più semplice archetipo di swap su tassi d’interesse, definito dagli anglosassoni plain vanilla, alludendosi alla vaniglia come gusto più semplice di gelato da richiedere al bar.
In particolare, in base al contratto derivato in esame, ogni 6 mesi il cliente era tenuto a pagare alla banca un tasso d’interesse fisso del 4,72% nel mentre l’istituto si era contestualmente impegnato a pagare con identica periodicità al cliente il tasso euribor semestrale costantemente variabile (entrambi calcolati su un capitale nozionale di riferimento pari a € 100.000).
Il contraente debole, in connessione all’avvio del lungo periodo di ribasso dei tassi a partire dalla fine del 2008, aveva accusato delle perdite connesse ai flussi differenziali negativi generati dallo swap e si era deciso ad agire in giudizio lamentando, tra le altre cose, l’assenza di una sua reale funzione di copertura dal rischio nonché una generale scarsa informazione tecnica ricevuta dalla stessa banca al momento della negoziazione dello swap.
In primo grado, il Tribunale di Torino aveva pronunciato la nullità del contratto muovendo dalla constatazione circa la effettiva inettitudine dello strumento finanziario ad assolvere alla ventilata funzione di copertura, ravvisando dunque nello stesso negozio la carenza di una “causa concreta” oltre alla presenza di commissioni implicite non dichiarate al cliente, tali da inficiarne alla radice la validità.
Quale effetto della declaratoria di nullità del contratto, il cliente della banca, in forza della disciplina in tema di ripetizione dell’indebito (art. 2033 cod. civ.), aveva dunque ottenuto la rifusione di tutti gli importi pagati a titolo di differenziali negativi prodotti dallo swap nel corso del rapporto.
Nelle more, la banca aveva interposto gravame avverso la sentenza di primo grado, insistendo sulla sussistenza di una effettiva funzione di copertura del derivato nonché contestando la presenza di suoi costi occulti.
Nel confermare la sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Torino ha preliminarmente affermato la condivisibilità dell’impianto logico-argomentativo già sposato dal giudice di prime cure, in particolare per quanto attiene alla nozione di “causa concreta” del contratto.
Sul punto, i giudici piemontesi hanno spiegato come in via generale “la causa sottostante ad un negozio giuridico bilaterale va individuata in concreto e non già solo su un piano astratto (…) non essendo sufficiente uno schema, di natura atipica, individuato a monte, per la verifica della validità del contratto”.
Applicando tale schema generale alla fattispecie dei contratti interest rate swap, i giudici torinesi hanno dunque precisato che per questo tipo di negozi atipici la causa ben possa essere individuata, su un piano generale ed astratto, nello scambio reciproco dei flussi differenziali connessi ai rispettivi tassi d’interesse assunti a riferimento da ciascuno dei contraenti, entrambi collegati ad un medesimo capitale nozionale.
Ma nel contratto sottoposto al suo esame, il collegio di secondo grado ha ravvisato un elemento decisivo la cui evenienza è valsa di per sé ad escludere, alla stregua dell’art. 1418, comma 2 cod. civ., la presenza di una causa che, in concreto, potesse realizzare il sopra richiamato schema generale ed astratto.
In particolare, nella fattispecie in oggetto si è avuta la conferma che, sin dal momento del perfezionamento dell’operazione finanziaria, il derivato presentava un valore di mercato negativo per il cliente, in quanto quest’ultimo, già nella fase iniziale del rapporto contrattuale, era stato costretto a pagare alla banca un tasso d’interesse superiore all’euribor a 6 mesi (pagato a sua volta dalla controparte) senza dunque ottenerne alcun vantaggio in termini di copertura dai rischi ma, al contrario, subendo immediatamente delle perdite.
In altre parole, secondo la Corte d’Appello di Torino, allorquando il contratto swap presenta già al momento della sua sottoscrizione un differenziale negativo a carico del cliente (in tali casi la dottrina e la giurisprudenza sono soliti parlare di derivati non par), è innegabile che il negozio sia connotato da un irrisolvibile squilibrio sinallagmatico che fa venire meno ab origine la presenza di una sua “causa concreta”.
Infine, sempre a detta dei giudici piemontesi, in questa sperequazione iniziale del contratto derivato (non dichiarata al cliente) è certamente ravvisabile un costo implicito ovvero occulto a favore della banca, da cui discende altresì la violazione di un importante obbligo informativo da parte dell’intermediario, incidendo senz’altro sulla “causa concreta sottostante al negozio giuridico l’occultamento di un valore negativo per il cliente stesso” e dovendo peraltro supporsi che quest’ultimo, in presenza di una corretta informazione di questo tipo, non avrebbe verosimilmente negoziato lo strumento finanziario in questione.
Come detto, la sentenza in commento si iscrive in quel filone giurisprudenziale che attribuisce centralità alla nozione di “causa concreta” nel contratto di swap e che, sotto tale profilo, apre delle prospettive incoraggianti a tutti quei clienti che hanno negoziato dei derivati che al momento del perfezionamento dell’operazione presentavano un valore di mark to market negativo, non dichiarato dalla banca.
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Sentenza integrale (in formato pdf)