Informazioni e osservatorio legale sugli strumenti finanziari derivati
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DERIVATI AGLI ENTI LOCALI. UNICREDIT A PROCESSO AD ACQUI TERME CON L’ACCUSA DI TRUFFA AGGRAVATA

di Marcello Frisone
da “Il Sole 24 ore” del 22 novembre 2012

Dopo la Procura di Milano, anche quella di Acqui Terme decide di rinviare a giudizio una banca per i derivati venduti a un ente territoriale. Ieri, infatti, un alto funzionario di UniCredit e la stessa banca di Piazza Cordusio sono stati rinviati a giudizio (il processo si terrà l’11 luglio 2013) per il reato di truffa aggravata nei confronti del comune di Acqui Terme per i sei derivati venduti tra il 2004 e il 2006. [Continua a leggere →]

Il Gup del tribunale piemontese, Laura Galli, ha infatti accolto le richieste delle parti civili (tra cui Adusbef) rappresentate dall’avvocato Giuseppe Ciullo e del Pm Antonio Rustico che già nel novembre del 2009 aveva chiesto e ottenuto dal Gip il sequestro preventivo di 1.201.648 euro presso la sede milanese della Bayerische Hypo und Vereinsbank A.G. (Hvb, subentrata alla Ubm del gruppo UniCredit). Nonostante il Comune (non costituitosi parte civile) e la banca (interpellata ha fatto sapere che «nella convinzione che non sia stata commessa alcuna irregolarità, confida che in sede dibattimentale emergerà l’infondatezza delle accuse mosse») si fossero accordate stragiudizialmente nel giugno del 2010, il Gup ha configurato ugualmente la condotta illecita in capo agli indagati. Con la decisione di ieri, quindi, sono due i processi (l’altro è quello in corso a Milano) che vedono imputate banche che hanno venduto derivati a enti locali.

 La vicenda trova origine dall’esposto presentato in Procura nell’ottobre del 2008 dagli avvocati Ciullo e Bistolfi in difesa di alcuni cittadini acquesi intimoriti dalla forte esposizione debitoria (circa 2.100.000 euro) nei confronti di UniCredit a causa dei derivati. A seguito dell’attività investigativa la procura piemontese ha contestato al funzionario UniCredit (originariamente gli indagati erano sei) il reato di truffa aggravata ai danni di un ente pubblico (oltre le circostanze aggravanti di cui all’articolo 61, n.5, 7, 11) in quanto con la propria condotta ha messo in atto «artifici e raggiri» che «hanno indotto in errore» il Comune di Acqui Terme nello stipulare i sei derivati. A UniCredit, invece, la procura acquese ha contestato l’illecito amministrativo dell’inosservanza di modelli di organizzazione idonei a prevenire il rischio di reati (decreto legislativo 231 del 2001) con riferimento al reato di truffa aggravata. Anzi, per il Pm l’istituto di credito «sembra essersi dotato – data la ripetitività delle condotte e il coinvolgimento di numerosissimi enti pubblici nelle contrattazioni – di un modus operandi deliberatamente finalizzato a che i medesimi reati siano commessi». UniCredit, poi, avrebbe adoperato un vero e proprio occultamento del conflitto di interessi non dichiarando all’ente locale che si proponeva come consulente «tacendo la contemporanea qualità di futura parte contrattuale» (violando così l’articolo 27 del regolamento Consob 11522/98).

La banca di piazza Cordusio, inoltre, ha ottenuto dai rappresentanti dell’ente locale la firma della dichiarazione di operatore qualificato (articolo 31, regolamento Consob 11522/98) «senza che tale condizione sussistesse realmente» e senza rendere edotta la controparte che la firma l’avrebbe esposta alla mancanza di tutela predisposta dal legislatore nella contrattazione di valori mobiliari. Non solo. La banca avrebbe omesso di dichiarare la reale natura dell’upfront: cioè, che lo stesso non è una forma di anticipazione di credito ma una somma di denaro dovuta per riequilibrare – almeno nel momento della stipulazione del contratto – le posizioni dei contraenti, in particolare quella maggiormente svantaggiata, ovvero il Comune di Acqui Terme.

La banca avrebbe prospettato la “vantaggiosità” dei derivati e ingannato così l’ente locale. Infatti, si legge nel decreto di sequestro, emerge la difformità tra la reale natura degli swap («vere e proprie scommesse al buio sull’andamento dei tassi») e i termini in cui gli stessi furono proposti e presentati all’ente locale (dovevano essere dei contratti di copertura rispetto all’indebitamento dell’ente con la Cassa depositi e prestiti ammontante all’epoca a circa 40 milioni di euro). Infine, una “bacchettata” non manca agli amministratori pubblici che hanno avuto una «parziale responsabilità per la negligenza con cui tutta la tematica fu affrontata, semplicemente attratti dalla facilità di incasso immediato di contanti, sotto forma di upfront».

Link: http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2012-11-21/derivati-enti-locali-unicredit-204445.shtml?uuid=AbimvC5G

23 Novembre 2012   Nessun commento

TRUFFA DERIVATI: NEL PROCESSO PENALE (TRIBUNALE DI BARI) DELL’IMPRESA DIVANIA CONTRO UNICREDIT, ADUSBEF E’ STATA AMMESSA COME PARTE CIVILE

Comunicato stampa

Nella quinta udienza svolta ieri a Bari contro 20 dirigenti di Unicredit rinviati a giudizio dal Pm Isabella Ginefra) ed accusati di aver causato il fallimento dell’azienda Divania spa di Modugno (che dava lavoro ad oltre 400 dipendenti) facendo sottoscrivere al titolare prodotti finanziari ad altissimo rischio senza informarlo dei rischi connessi all’operazione ed accusati di truffa aggravata, appropriazione indebita, estorsione, Adusbef è stata ancora una volta l’unica ad essere stata ammessa come parte civile. [Continua a leggere →]

La truffa complessiva ipotizzata dalla procura di Bari si aggira intorno ai 15 milioni di euro. Gli imputati sono accusati di aver contribuito a causare il dissesto finanziario dell’azienda Divania Spa di Modugno facendo sottoscrivere al titolare prodotti finanziari ad altissimo rischio senza informarlo adeguatamente dei rischio connessi all’operazione, ma proponendoli anzi come sicuri. Per effetto di quelle operazioni finanziarie azzardate, nel 2006 (a distanza di 6 anni dall’inizio della sottoscrizione), l’azienda è stata costretta a chiudere, licenziando 430 operai, pur essendo riuscita ad evitare il fallimento.
Tra gli imputati figurano due componenti del Cda dell’istituto di credito, i quali, secondo l’accusa, “ideavano, ingegnerizzavano ed implementavano prodotti finanziari derivati “over the counter”, scambiati sui mercati non regolamentati. Altri 10 imputati, tra i quali il ‘responsabile erogazione crediti della direzione regionale centro sud Roma’, della Unicredit Corporate Banking spa, il ‘responsabile della direzione regionale centro sud Roma’ della Unicredit Corporate Banking spa e i responsabili, con diverse mansioni, delle filiali di Bari Zona Industriale e Bari via Putignani, “si occupavano – si legge nel capo di imputazione – della rimodulazione dei prodotti truffaldini (già offerti e collocati tra il 1998 ed il 2002 da altri colleghi, nei cui confronti il reato si è prescritto, alla clientela del Credito Italiano/Unicredit Banca fino a dicembre 2002 e, da gennaio 2003,Unicredit Banca d’Impresa divenuta, il 1 aprile 2008, Unicredit Corporate Banking spa)”.
Tre dei 20 imputati sono inoltre accusati di estorsione. In particolare i tre avrebbero costretto il titolare dell’azienda a impegnarsi a corrispondere all’istituto di credito la somma di 4,5 milioni di euro, spingendolo a sottoscrivere con un pool di banche e quale capofila la Unicredit Banca d’Impresa Spa, la Convenzione interbancaria del 7 giugno 2005 con la quale, oltre ad assumere altre ulteriori obbligazioni con le altre banche firmatarie, il titolare Francesco Parisi veniva costretto ad assumere l’impegno di costituire una nuova società denominata Parco don Vito srl, con la quale acquistare l’immobile di proprietà di Divania e stipulare un mutuo fondiario dell’importo di 10 milioni di euro, tra la Parco Don Vito Srl e la Unicredit Banca d’Impresa Spa a garanzia del buon fine di tutte le obbligazioni assunte da Divania Srl con la Convenzione.
Nel corso dell’udienza, in cui diverse associazioni (tra le quali Codacons, Codici, Associazione Antiracket ed Antiusura) avevano fatto richiesta di costituzione di parte civile, il GUP dottor Di Paola, dopo aver elencato i requisiti di cui le associazioni devono avere per poter essere ammesse nel processo penale, ha ammesso soltanto Adusbef, difesa dall’avvocato Antonio Tanza, Vicepresidente Nazionale e Presidente Regionale pugliese di Adusbef, ed Adusbef Puglia- difesa dall’avv. Vincenzo Laudadio, in quanto le uniche in grado di soddisfare i criteri fissati dalla legge e di dimostrare il possesso dei requisiti di rappresentatività, tutela dei diritti collettivi, espletamento negli anni precedenti di attività svolta a tutela dei consumatori e delle imprese nel settore del credito e del risparmio in genere (settore bancario e finanziario), nonché in ragione dei requisiti di anzianità di costituzione (costituzione Adusbef anno 1987).
Il provvedimento si inserisce nella lunga lista di provvedimenti giudiziari in cui Adusbef viene riconosciuta come parte civile nei vari processi penali contro alcune banche,che avevano appioppato derivati avariati ad imprese ed enti locali, nei procedimenti in corso (da Acqui Terme a Milano).

Elio Lannutti (Presidente Adusbef)

Roma, 27.9.2012

link: http://www.adusbef.it/consultazione.asp?Id=8610&T=P

23 Ottobre 2012   Nessun commento

LA COMMISSIONE IMPLICITA IN UNO SWAP E’ UN INDEBITO RIPETIBILE: IL TRIBUNALE DI PESCARA DA’ RAGIONE AL COMUNE DI PENNE

Commento a cura dell’avv. Giuseppe Angiuli

La novità giurisprudenziale apportata dalla pronuncia in commento (Tribunale di Pescara, sentenza 3 ottobre 2012, n. 1241, pubblicata su www.ilcaso.it, I, 7967, 22/10/2012) risiede nel fatto che un Comune è qui riuscito a ripetere delle somme dalla banca senza che la Giustizia abbia dovuto preventivamente dichiarare nullo o risolto il contratto derivato.

Come è avvenuto per molti altri enti locali del nostro Paese, anche il Comune di Penne aveva stipulato nel 2002 un contratto del tipo interest rate swap a garanzia del rischio di rialzo dei tassi d’interesse variabili in relazione ad una operazione di finanziamento. [Continua a leggere →]

Tra il 2002 e il 2004, analogamente a tante altre situazioni di questo tipo, l’ente si era poi visto progressivamente sostituire, per tre volte di seguito, il prodotto IRS con un altro della stessa specie.

E come per altri casi, al momento di ogni sostituzione del vecchio swap con quello nuovo, la banca aveva apparentemente “premiato” la amministrazione locale elargendole un up-front, ossia un premio di liquidità.

Nel 2008 il Comune, dopo avere registrato delle pesanti perdite in relazione all’ultimo derivato stipulato in ordine di tempo, aveva deciso di sospendere unilateralmente il pagamento dei flussi negativi di interessi, trascinando l’istituto intermediario B.N.L. dinanzi al Tribunale civile di Pescara, a cui aveva chiesto pronunciarsi, in via preliminare, la nullità, l’annullamento ovvero la risoluzione dell’unico contratto swap ancora operativo, denominato Purple collar.

In aggiunta a tali domande, l’ente aveva altresì chiesto disporsi la restituzione a suo favore dell’indebito oggettivo maturato ai sensi dell’art. 2033 cod. civ. in relazione ad alcune somme versate in pendenza dei vecchi prodotti swap.

In corso di causa, la Giunta comunale di Penne decideva tatticamente di non insistere più sulla richiesta di invalidazione dell’ultimo derivato concluso in ordine di tempo e di insistere unicamente sulla ripetizione di quanto versato in relazione agli swap precedentemente in essere.

Il Tribunale di Pescara (Presidente dott. Bozza, estensore dott.ssa Ursoleo), dopo avere disposto una c.t.u. contabile, ha accertato la presenza di commissioni occulte applicate dalla banca a due vecchi swap ed ha dunque accolto la sola domanda ripetitoria tra quelle formulate dal Comune, fissando un importante precedente giurisprudenziale.

Ricordiamo come nell’ambito della finanza degli enti territoriali, la rinegoziazione di un derivato, con contestuale erogazione di un up-front, assolve molto spesso a due finalità apparentemente benefiche per l’amministrazione locale: l’incameramento di un premio di liquidità dà provvisoriamente un po’ di respiro alla capacità di spesa corrente e sembra consentire all’amministrazione locale, al tempo stesso, di “fare quadrare i propri conti” in bilancio, spostando il rischio di insolvenza dell’ente in un futuro più o meno prossimo.

In altri termini, accade molto spesso che le amministrazioni locali, dovendo in qualche modo soddisfare l’esigenza di fare cassa, si fanno convincere dalle banche a stipulare (ovvero a rinegoziare) un prodotto derivato, mosse proprio dall’incentivo costituito dall’up-front erogato nella fase iniziale del (nuovo) rapporto.

Quello che però molti amministratori spesso sottovalutano è che l’up-front, in realtà, altro non è che un parziale risarcimento del valore negativo del derivato: ed è proprio dall’analisi di questo aspetto delicato del rapporto che prende spunto la significativa decisione dei giudici pescaresi.

Essi hanno innanzitutto ricordato come la normativa di fonte secondaria (allegato 3 al regolamento CONSOB reso con delibera n. 11522/98, paragrafo 4 della parte B) impone sempre che, al momento della sua stipula, il valore dello swap sia nullo.

Il valore nullo dell’IRS sta a significare che “i contraenti devono concordare sul fatto che la somma algebrica attualizzata dei flussi positivi e negativi e del valore delle opzioni scambiate deve essere pari a zero”.

Alla stregua di tale principio-base, il Tribunale abruzzese ha dunque fornito una chiara definizione del concetto di up-front, affermando quanto appresso: “Ove invece gli swaps fossero ab origine contratti non par, ossia laddove presentassero al momento della stipula un valore di mercato negativo per una delle due controparti, in quanto uno dei due flussi di pagamento non riflette il livello dei tassi di mercato, l’equilibrio finanziario delle condizioni di partenza dovrà essere ristabilito attraverso il pagamento di una somma di danaro da parte del contraente avvantaggiato al contraente svantaggiato e tale pagamento, che dovrebbe essere pari al valore di mercato di negativo del contratto, prende il nome di up-front”.

Nel caso di specie, la c.t.u. ha accertato che almeno due dei vecchi contratti IRS negoziati dal Comune di Penne presentavano un valore negativo di mark to market sin dal momento della loro stipula e che, in entrambi i casi, la banca aveva erogato degli up-front di importo insufficiente a rifondere il Comune di tale valore negativo: tutto ciò aveva finito per far sorgere – secondo i giudici di Pescara – delle commissioni implicite a carico dell’ente pubblico.

Inoltre, la disamina del regolamento contrattuale di entrambi i prodotti IRS ha consentito ai giudici di desumere la natura implicita (e perciò stesso indebita) della commissione in parola dalla semplice constatazione che “i contratti di swap escludevano qualunque importo a titolo di commissioni”.

A detta del Tribunale di Pescara, dunque, se l’importo dell’up-front elargito dalla banca non è tale da coprire il valore iniziale negativo del derivato, un ente pubblico non può farsi carico della commissione implicita incamerata in tal modo dalla banca, posto che una prassi di questo tipo risulterebbe contraria quanto meno ai principi generali regolanti i rapporti tra finanza pubblica e strumenti derivati (in primis, all’art. 41 della legge finanziaria per il 2002).

La stessa circostanza “che la banca abbia corrisposto, per ciascun contratto, l’up-front non in misura integrale, per come sarebbe stato in considerazione del valore negativo di MTM dei contratti per il Comune, caricando sul cliente il pagamento di commissioni non previste, anzi escluse dai contratti de quibus, configura l’ipotesi di pagamenti, da parte del Comune, ab origine indebiti, mancando la causa giustificativa dei pagamenti stessi”.

Una volta delineato nei termini suesposti il concetto di “commissione implicita” a carico del Comune, è risultato quindi semplice calcolare quanto la banca intermediaria dovesse restituire all’ente pubblico, coincidendo tale somma nello scarto tra il valore negativo del mark to market per l’ente e l’importo dell’up-front incassato alla stipula di ciascuno swap.

Nella fattispecie in esame, dunque, la B.N.L. è stata condannata a restituire la complessiva somma di 672 mila euro al Comune abruzzese a titolo di indebito oggettivo ex art. 2033 cod. civ., con l’aggiunta degli interessi legali dalle date in cui avvennero le rispettive negoziazioni degli swap.

 * * *

Link al provvedimento:

http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/7967.php

3 Ottobre 2012   Nessun commento

IL COMUNE DI CAMERINO ANNULLA CONTRATTI DERIVATI

Legislatura 16 Atto di Sindacato Ispettivo n° 4-07376 

Atto n. 4-07376

Pubblicato il 2 maggio 2012, nella seduta n. 717

[Continua a leggere →]

2 Maggio 2012   Nessun commento

IL COMUNE DI ORVIETO OTTIENE LA SOSPENSIONE D’URGENZA DELLE OPERAZIONI IN DERIVATI: UNA CAUSA-PILOTA PER MOLTI ENTI PUBBLICI ITALIANI?


Commento a cura dell’avv. Giuseppe Angiuli

La vicenda in discorso potrà verosimilmente costituire un importante esempio da seguire per i tanti enti pubblici territoriali che, loro malgrado, sono finiti invischiati nelle operazioni in strumenti derivati, spesso mettendo a rischio la loro stessa stabilità economico-finanziaria.

Da quanto consta, si tratta della prima pronuncia cautelare con la quale un Tribunale italiano ha disposto la sospensione in via d’urgenza (e cioè ben prima della definizione del giudizio di merito) degli effetti di operazioni in derivati coinvolgenti enti pubblici(1). [Continua a leggere →]

Nell’ordinanza cautelare adottata il 21 ottobre 2011 (Giudice monocratico dott. Cofano, pubblicata su www.dirittobancario.it), il Tribunale Civile di Orvieto ha ravvisato il pericolo grave e irreparabile per le finanze del Comune di Orvieto in una situazione in cui lo stesso ente umbro risultava esposto verso la banca B.N.L. a causa di differenziali negativi collegati ad un prodotto swap che, per il triennio 2011-2013, stante il verosimile andamento dei tassi, avrebbe costretto il Comune a sborsare circa 1 milione e mezzo di euro.

L’ente è risultato essere vincolato da ben sette contratti di interest rate swap stipulati tra il 2003 ed l 2006 ed il cui sviluppo nel breve periodo avrebbe prodotto un’esposizione debitoria così pesante da far temere agli amministratori comunali di non poter più disporre finanche delle somme minime sufficienti ad assicurare il perseguimento delle funzioni pubblicistiche connaturate ad un ente territoriale.

Dopo avere introdotto il giudizio civile di merito – per mezzo degli Avv.ti Luca Zamagni e Matteo Acciari – il Comune di Orvieto ha dunque proposto un ricorso cautelare in corso di causa invocando le ragioni d’urgenza connesse all’art. 700 c.p.c. ed instando per una immediata sospensione degli effetti dei contratti I.R.S.

Il Tribunale umbro ha incentrato la propria indagine sulla verifica circa la sussistenza del  periculum in mora, da ravvisarsi generalmente nella oggettiva impossibilità, per la parte ricorrente, di salvaguardare i propri diritti assunti lesi mediante un successivo risarcimento per equivalente pecuniario.

Più in particolare, a detta del Giudice adìto, non potendo ricavarsi l’irreparabilità del danno patrimoniale dalla sola natura pubblica del soggetto contraente, in fattispecie come quella in discorso “risulta necessario verificare se un’eventuale sospensione concessa con il presente provvedimento consentirebbe effettivamente al Comune di disporre altrimenti delle somme temporaneamente non versate alla Banca Nazionale del Lavoro e quindi di perseguire i fini pubblici il conseguimento dei quali sarebbe invece ostacolato qualora, in attesa di ottenere la restituzione di tutto quanto dovrebbe essere pagato nel prossimo futuro, l’ente territoriale fosse impossibilitato ad affrontare gli esborsi necessari per il conseguimento di tali fini”.

Essendo il Comune riuscito a provare la sua grave situazione debitoria, che lo vedeva pesantemente esposto nei confronti di diversi suoi fornitori per prestazioni collegate a servizi essenziali per la collettività, il Tribunale ha ritenuto di individuare l’elemento del pregiudizio grave ed irreparabile nella constatazione dell’impossibilità per lo stesso Comune di poter far fronte contemporaneamente “alle une ed alle altre obbligazioni finanziarie”.

Secondo il Giudice di Orvieto, una norma vigente in materia di finanza degli enti locali (l’art. 195 del d. lgs. n. 267 del 2000) può legittimamente consentire ad una pubblica amministrazione che si trovi nelle medesime condizioni del Comune di Orvieto di accantonare le somme non più versate alla banca e di destinarle a far fronte ai pagamenti di altri soggetti creditori in relazione a prestazioni fornite al Comune, corrispondenti a servizi da quest’ultimo erogati alla cittadinanza.

Il precedente creato dal Tribunale umbro è decisamente importante: resta solo da attendere di capire quanti altri enti pubblici italiani ne seguiranno eventualmente la scia.

 

NOTE

(1) Viceversa, non mancavano già diverse pronunce cautelari che avevano disposto analoga sospensione d’urgenza in rapporti tra imprese private e banche (ex multis, cfr. Trib. Lecce, 9 maggio 2011, commentata in DERIVATI.INFO in questa pagina).

* * *

Link al provvedimento

 

17 Febbraio 2012   Nessun commento

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