DERIVATI, CONDANNATE LE BANCHE PER TRUFFA AL COMUNE DI MILANO
da “La Repubblica” del 19 dicembre 2012
A Deutsche Bank, Ubs, Jp Morgan e Depfa Bank è stata comminata una pena pecuniaria da un milione di euro a testa, inoltre sono stati confiscati complessivamente ai quattro istituti 88 milioni. Robledo: “Sentenza storica”.
Punito uno dei meccanismi finanziari che hanno innescato la crisi globale
19 Dicembre 2012 Nessun commento
LA CARENZA DI UNA CAUSA CONCRETA RENDE NULLO IL CONTRATTO DI SWAP
Commento a cura dell’avv. Giuseppe Angiuli
Avevamo già segnalato l’ordinanza cautelare dell’ottobre 2011 con cui il Tribunale monocratico di Orvieto, in applicazione dell’art. 700 c.p.c., aveva ordinato in corso di causa ad un istituto bancario di sospendere in via d’urgenza l’addebito di differenziali negativi connessi ad operazioni del tipo interest rate swap stipulate dal Comune della stessa cittadina umbra (qui il link al provvedimento). [Continua a leggere →]
Più recentemente, sempre il Tribunale di Orvieto (con provvedimento depositato il 12 aprile 2012, Presidente e relatrice la dott.ssa Maria Pia Di Stefano, pubblicato su www.ilcaso.it), nell’ambito della stessa vicenda giudiziaria ma questa volta adìto in sede collegiale per il reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c. presentato dalla banca, ha confermato l’ordinanza impugnata, non mancando l’occasione per analizzare ancora più nel profondo la situazione in cui è finito per trovarsi l’ente territoriale a causa della stipula di ben sette swap e fissando alcuni importanti princìpi di indubbio rilievo giurisprudenziale.
Il percorso logico-argomentativo seguito dal Tribunale umbro muove da una preliminare definizione concettuale delle operazioni interest rate swap, descritte come contratti che prevedono “lo scambio a termine di flussi di cassa calcolati con modalità prestabilite, secondo un sistema che permette di diminuire il rischio connesso alla fluttuazione dei tassi di interesse ed in cui i reciproci pagamenti previsti sono ancorati a tassi di interesse differenti e predefiniti, applicati ad un capitale nozionale di riferimento”.
Il punto centrale della riflessione offerta dai giudici orvietani attiene all’analisi dello schema genetico che in un negozio di swap deve necessariamente contraddistinguere il predetto scambio di flussi di cassa tra i due soggetti contraenti.
Perché sia garantito un sano equilibrio tra le posizioni dei due contraenti, è stato ritenuto indispensabile che lo scambio di flussi legato al differenziale tra i due rispettivi tassi di interesse, al momento della stipula dell’operazione, sia pari a zero, “altrimenti il contratto partirà squilibrato a favore di uno dei due contraenti, evidenziando una possibile patologia della fattispecie negoziale”.
In sostanza, il Tribunale di Orvieto ha censurato quel comportamento degli istituti bancari, largamente diffuso nella prassi, consistente nell’occultare una situazione di mark to market negativo per il cliente già al momento della stipula dello swap.
La riflessione del Tribunale di Orvieto è tanto semplice quanto logica: non può avere senso per un cliente (e men che meno per un ente pubblico) l’acquisto di un prodotto swap che presenti, già al momento della sua sottoscrizione, un flusso di cassa negativo in quanto, in tali casi, ciò che viene a mancare è la stessa causa concreta del contratto di swap, ossia lo “scopo pratico del negozio”. Tale carenza di causa concreta – ove riscontrata – inficia la validità genetica del contratto, alla luce del principio generale di cui all’art. 1418, secondo comma, cod. civ.
Peraltro, il ragionamento generale sopra sviluppato non impedisce al nostro ordinamento di consentire l’ingresso a figure di strumenti derivati caratterizzati da un iniziale squilibrio di prestazioni tra le parti: è il caso dei derivati cosiddetti non par che, come pure precisato dalla Consob in sede di audizione parlamentare, “presentano al momento della stipula un valore di mercato negativo per una delle controparti, poiché uno dei due flussi di pagamento non riflette il livello dei tassi di mercato”(1).
Il Tribunale di Orvieto ha tuttavia ricordato che quest’ultima tipologia di derivati, per ottenere un crisma di legittimità dall’ordinamento, necessita di un indispensabile correttivo iniziale: l’erogazione di un up front (ossia di una somma di denaro) a favore del cliente, in misura tale da compensare integralmente la situazione di squilibrio finanziario tra le parti. In altre parole, perché un contratto derivato non par sia legittimo, occorre che l’up front sia dello stesso ammontare del valore di mercato negativo del contratto.
Nel caso oggetto di commento, i giudici hanno verificato che tutte le operazioni sottoscritte dal Comune di Orvieto presentavano, al momento della loro stipula, un differenziale iniziale negativo per l’ente pubblico e che gli up front, ancorchè erogati in qualche caso dalla banca, non erano di entità tale da riequilibrare il valore negativo del mark to market.
Per di più, nei casi di prodotti swap sottoscritti dal Comune con la finalità di rinegoziare precedenti derivati che già avevano prodotto dei flussi di cassa negativi per l’ente, il Tribunale ha rimarcato l’estraneità di tali operazioni rispetto alle finalità istituzionali generalmente perseguibili da una pubblica amministrazione locale che – lo ricordiamo – è ammessa dalla legge ad impegnarsi in operazioni di strumenti derivati soltanto a fini conservativi (art. 41, legge 448/2001; art. 3, d.m. 389/2003).
Su quest’ultimo punto, la presa di posizione del Tribunale di Orvieto è quasi sorprendente per la sua perentorietà ed originalità: a detta dei giudici umbri, l’attività di rinegoziazione di uno swap “costituisce di per sé una deviazione dalla normale operatività in derivati che un ente pubblico può compiere in ossequio alle esigenze di copertura del debito”. Dunque, secondo tale prospettazione, non può essere consentito ad un Comune, al fine di scongiurare l’imminente addebito di differenziali negativi, di ristrutturare il derivato accettando nell’immediato di incamerare liquidità ma al contempo accollandosi un nuovo derivato dal valore già negativo, spostando solo più in là nel tempo il rischio di andare incontro a flussi di cassa negativi. Tutto ciò non rientrerebbe nelle finalità conservative connesse all’attività finanziaria di un ente pubblico ma sfocerebbe, nella sostanza, in un’operazione negoziale non già di copertura bensì dal significato intrinsecamente aleatorio.
Ove tale ultima tesi dovesse trovare ulteriore credito da parte della giurisprudenza di merito, gli effetti che ne deriverebbero sui rapporti tra banche ed enti pubblici potrebbero rivelarsi travolgenti: infatti, l’ordinanza in rassegna finisce per delineare le ristrutturazioni di derivati aventi valore negativo (prassi molto diffusa) come operazioni intrinsecamente speculative e perciò stesso vietate alle pubbliche amministrazioni.
Ma la ricca ed articolata ordinanza in commento offre altresì una interessante interpretazione sulla validità della nota e controversa “autocertificazione” ex art. 31, reg. CONSOB n. 11522/98, alla stregua del celebre arret della Corte di Cassazione (sentenza n. 12138 del 2009, già commentata su DERIVATI.INFO: link).
Il soggetto intermediario – secondo il Tribunale di Orvieto – non può mai essere esonerato dal compiere quella necessaria attività di trasferimento verso il cliente del suo bagaglio di informazioni e conoscenze tecniche riguardanti lo specifico strumento finanziario che si intende negoziare ed è inoltre sempre tenuto (soprattutto quando si tratta di strumenti finanziari altamente complessi) a rendere edotto il cliente circa il reale significato della dichiarazione ex art. 31. Soltanto dopo avere adempiuto a tali preliminari doveri informativi la banca potrà quindi prendere per buona la dichiarazione di un cliente che attesti di avere sufficiente esperienza e conoscenza in strumenti finanziari e soltanto in tale contesto, infine, la stessa banca potrà sentirsi esonerata dal compiere ulteriori verifiche sulla rispondenza a veridicità della dichiarazione rilasciata dal cliente.
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Link al provvedimento:
http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/7314.php
(1) Audizione della Consob alla VI^ Commissione Finanze e Tesoro del Senato, 18 marzo 2009.
30 Giugno 2012 Nessun commento
IL GUP DEL TRIBUNALE DI ACQUI TERME RINVIA A GIUDIZIO 2 FUNZIONARI DI UNICREDIT PER TRUFFA AGGRAVATA E USURA. ANCHE ADUSBEF SI COSTITUISCE PARTE CIVILE
articolo di Marcello Frisone su Il Sole 24 ore del 21 aprile 2012
17 Maggio 2012 Nessun commento
IL COMUNE DI ORVIETO OTTIENE LA SOSPENSIONE D’URGENZA DELLE OPERAZIONI IN DERIVATI: UNA CAUSA-PILOTA PER MOLTI ENTI PUBBLICI ITALIANI?
Commento a cura dell’avv. Giuseppe Angiuli
La vicenda in discorso potrà verosimilmente costituire un importante esempio da seguire per i tanti enti pubblici territoriali che, loro malgrado, sono finiti invischiati nelle operazioni in strumenti derivati, spesso mettendo a rischio la loro stessa stabilità economico-finanziaria.
Da quanto consta, si tratta della prima pronuncia cautelare con la quale un Tribunale italiano ha disposto la sospensione in via d’urgenza (e cioè ben prima della definizione del giudizio di merito) degli effetti di operazioni in derivati coinvolgenti enti pubblici(1). [Continua a leggere →]
Nell’ordinanza cautelare adottata il 21 ottobre 2011 (Giudice monocratico dott. Cofano, pubblicata su www.dirittobancario.it), il Tribunale Civile di Orvieto ha ravvisato il pericolo grave e irreparabile per le finanze del Comune di Orvieto in una situazione in cui lo stesso ente umbro risultava esposto verso la banca B.N.L. a causa di differenziali negativi collegati ad un prodotto swap che, per il triennio 2011-2013, stante il verosimile andamento dei tassi, avrebbe costretto il Comune a sborsare circa 1 milione e mezzo di euro.
L’ente è risultato essere vincolato da ben sette contratti di interest rate swap stipulati tra il 2003 ed l 2006 ed il cui sviluppo nel breve periodo avrebbe prodotto un’esposizione debitoria così pesante da far temere agli amministratori comunali di non poter più disporre finanche delle somme minime sufficienti ad assicurare il perseguimento delle funzioni pubblicistiche connaturate ad un ente territoriale.
Dopo avere introdotto il giudizio civile di merito – per mezzo degli Avv.ti Luca Zamagni e Matteo Acciari – il Comune di Orvieto ha dunque proposto un ricorso cautelare in corso di causa invocando le ragioni d’urgenza connesse all’art. 700 c.p.c. ed instando per una immediata sospensione degli effetti dei contratti I.R.S.
Il Tribunale umbro ha incentrato la propria indagine sulla verifica circa la sussistenza del periculum in mora, da ravvisarsi generalmente nella oggettiva impossibilità, per la parte ricorrente, di salvaguardare i propri diritti assunti lesi mediante un successivo risarcimento per equivalente pecuniario.
Più in particolare, a detta del Giudice adìto, non potendo ricavarsi l’irreparabilità del danno patrimoniale dalla sola natura pubblica del soggetto contraente, in fattispecie come quella in discorso “risulta necessario verificare se un’eventuale sospensione concessa con il presente provvedimento consentirebbe effettivamente al Comune di disporre altrimenti delle somme temporaneamente non versate alla Banca Nazionale del Lavoro e quindi di perseguire i fini pubblici il conseguimento dei quali sarebbe invece ostacolato qualora, in attesa di ottenere la restituzione di tutto quanto dovrebbe essere pagato nel prossimo futuro, l’ente territoriale fosse impossibilitato ad affrontare gli esborsi necessari per il conseguimento di tali fini”.
Essendo il Comune riuscito a provare la sua grave situazione debitoria, che lo vedeva pesantemente esposto nei confronti di diversi suoi fornitori per prestazioni collegate a servizi essenziali per la collettività, il Tribunale ha ritenuto di individuare l’elemento del pregiudizio grave ed irreparabile nella constatazione dell’impossibilità per lo stesso Comune di poter far fronte contemporaneamente “alle une ed alle altre obbligazioni finanziarie”.
Secondo il Giudice di Orvieto, una norma vigente in materia di finanza degli enti locali (l’art. 195 del d. lgs. n. 267 del 2000) può legittimamente consentire ad una pubblica amministrazione che si trovi nelle medesime condizioni del Comune di Orvieto di accantonare le somme non più versate alla banca e di destinarle a far fronte ai pagamenti di altri soggetti creditori in relazione a prestazioni fornite al Comune, corrispondenti a servizi da quest’ultimo erogati alla cittadinanza.
Il precedente creato dal Tribunale umbro è decisamente importante: resta solo da attendere di capire quanti altri enti pubblici italiani ne seguiranno eventualmente la scia.
(1) Viceversa, non mancavano già diverse pronunce cautelari che avevano disposto analoga sospensione d’urgenza in rapporti tra imprese private e banche (ex multis, cfr. Trib. Lecce, 9 maggio 2011, commentata in DERIVATI.INFO in questa pagina).
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17 Febbraio 2012 Nessun commento
DERIVATI E COSTI OCCULTI. SULLA STORICA SENTENZA DI PISA (DA “RAINEWS24” – 14 dicembre 2011)
servizio di Mario Sanna
14 Dicembre 2011 Nessun commento