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IL TRIBUNALE DI LECCE ORDINA AD UN ISTITUTO BANCARIO DI SOSPENDERE GLI ADDEBITI SU CONTO CORRENTE E DI RITIRARE LA SEGNALAZIONE ALLA CENTRALE RISCHI

Commento a cura dell’avv. Giuseppe Angiuli

Con l’ordinanza del 9 maggio 2011, emessa in sede collegiale a seguito di reclamo proposto da una banca avverso un provvedimento cautelare di prime cure, il Tribunale di Lecce – sezione commerciale (Presidente e relatore il dott. Alessandro Silvestrini) ha respinto la richiesta dell’istituto volta a far venir meno gli effetti di un provvedimento con cui lo stesso organismo giudiziario aveva già accolto le ragioni della parte ricorrente. In primo grado, il giudice monocratico del Tribunale salentino aveva infatti ritenuto che, data la complessità della vicenda, tale da richiedere particolari approfondimenti di merito, sussistesse per intanto un pericolo di danno grave e irreparabile per la società acquirente di un derivato interest rate swap al punto da potersi subito sospendere, in via cautelare ed urgente, tanto l’addebito dei differenziali negativi sul conto corrente della stessa impresa quanto la consequenziale segnalazione alla Centrale Rischi.

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9 Maggio 2011   Commenti disabilitati su IL TRIBUNALE DI LECCE ORDINA AD UN ISTITUTO BANCARIO DI SOSPENDERE GLI ADDEBITI SU CONTO CORRENTE E DI RITIRARE LA SEGNALAZIONE ALLA CENTRALE RISCHI

“I CREDITI DEFAULT SWAP SU DEBITO SOVRANO” (ESTRATTO DALLA RELAZIONE ANNUALE CONSOB PER IL 2010)

31 Dicembre 2010   Nessun commento

DERIVATI ED ENTI LOCALI: UN’IMPORTANTE PRONUNCIA DEL TAR DI FIRENZE

Commento a cura di Giorgio Mantovano, dottore commercialista, pubblicato sul “Nuovo Quotidiano di Puglia” del 23 dicembre 2010

Prodotti derivati ed enti locali: storia di un rapporto travagliato. E’ di pochi giorni fa la notizia che il Tar Toscana (sentenza n.6579/2010), con una pronuncia destinata ad incidere sui vari contenziosi in atto, ha ritenuto corretti i provvedimenti di autotutela con cui la Provincia di Pisa aveva annullato la procedura di ristrutturazione del proprio debito, ricorrendo a delle operazioni in derivati di copertura dal rischio di tasso. In particolare, l’Amministrazione provinciale aveva indetto una gara ufficiosa per individuare uno o più intermediari finanziari con i quali perfezionare un’operazione di ristrutturazione del proprio debito. La gara era stata vinta da due banche, riunite in associazione temporanea di impresa. L’operazione si era concretizzata nell’emissione di un prestito obbligazionario al tasso variabile Euribor maggiorato dallo spread indicato nell’offerta di gara, per un importo di euro 95.940.000. [Continua a leggere →]

Si erano poi concluse due operazioni di swap per la copertura dal rischio di tasso, finalizzate a garantire che il livello dei tassi di interesse da corrispondere fosse oscillante all’interno di un minimo ed un massimo prestabiliti.

L’Ente aveva poi annullato la procedura, a causa di costi impliciti dell’operazione non dichiarati dalle banche. In particolare, i provvedimenti di autotutela erano stati motivati da una relazione prodotta da una società specializzata, a parere della quale gli swap sottoscritti con le banche avevano, sin dal momento iniziale, un valore negativo a carico della Provincia. Era stata contestata, dunque, una mancanza di parità tra le posizioni contrattuali alla data della stipula degli swap, che aveva generato uno squilibrio a favore delle banche. La sentenza ha sottolineato che detti fatti non erano stati smentiti dalla difesa delle banche, che non era riuscita a dimostrare l’esistenza di un vantaggio per la P.A.. In definitiva, il Tar ha statuito che i provvedimenti di autotutela impugnati erano da ritenere corretti poiché motivati e di rilevante interesse pubblico. In aggiunta,ha affermato che, anche in autotutela, l’annullamento dell’aggiudicazione non produce, alla luce della normativa europea e della legislazione di recepimento, l’automatica inefficacia dei contratti. Per raggiungere tale obiettivo deve essere adito il giudice competente a conoscere dell’esecuzione dei medesimi contratti. La sentenza ha soffermato la propria attenzione su uno dei principali problemi che caratterizzano oggi il contenzioso tra banche ed enti locali. I nodi al pettine riguardano, da una parte, la verifica del valore iniziale dello swap sottoscritto dalle parti. Ci si interroga se esso sia giudicabile equo, ovvero se esista un problema di squilibrio economico iniziale dello strumento finanziario, poiché la banca non ha attribuito ad esso il giusto valore. Dall’altra, ci si chiede se il derivato venduto all’ente locale sia giudicabile idoneo a perseguire l’obiettivo della reale convenienza economica. Si tratta, in estrema sintesi, di valutazioni assai delicate che investono il concetto di mark to market (valore di mercato) e di valore equo (fair value) di uno strumento finanziario, negoziato in un mercato non standardizzato, cosiddetto O.t.c. (over the counter). In poche parole, ad alto rischio di liquidità,nel quale, non essendovi la presenza di un soggetto garante, gli intermediari per tutelarsi dai rischi di insolvenza della controparte, tendono ad aumentare, secondo una logica auto-assicurativa, i prezzi dei contratti. Un mercato in cui, purtroppo, è assente un’adeguata trasparenza del prezzo. Ciò si riflette in sede giudiziale ove si assiste, a colpi di perizie, al confronto tra il fair value stimato dall’Ente ed il valore attribuito dalla banca. L’eventuale disparità, se sfavorevole all’Ente e non resa trasparente, viene interpretata come danno iniziale subito dalla Pubblica Amministrazione. E’ una tesi, ovviamente, non condivisa dall’ABI per la quale i modelli valutativi del prezzo ‘giusto’ trascurerebbero l’esistenza dei costi di strutturazione e amministrazione nonché lo stesso merito di credito dell’ente territoriale. Non terrebbero, inoltre, conto dell’esistenza di un necessario margine d’intermediazione e risulterebbero in conflitto con la normativa di vigilanza della Banca d’Italia che impone il recupero dei costi e la remunerazione dei rischi assunti. Ora, è indubbio che la valutazione degli strumenti finanziari derivati, dovendosi basare su modelli definiti in condizione di incertezza (di tipo probabilistico), si caratterizza come una grandezza Mark to model, dipendente, cioè, dalle ipotesi valutative adottate. Con il risultato che piccole differenze nelle stime possono produrre grandi divergenze nei risultati. Il modello valutativo dovrebbe essere scelto tra quelli accreditati in letteratura e le stime dovrebbero, utilizzando idonee tecniche di calibrazione, fondarsi sui dati disponibili. In definitiva, tutto si riduce a un problema di giudizio su ipotesi valutative, che smentiscono l’esistenza di un solo valor equo e rendono possibile l’esistenza, in un dato momento, di più valori dello stesso derivato, teoricamente ammissibili come equi . Sul punto vedasi l’opinione dello Iasb Expert Advisor Panel (ottobre 2008). Ed è questo, ad oggi, il vero grande problema: il giudizio di equità, su cui si basano anche le indagini penali, presenta un elevato grado di soggettività, acuito dal fatto che i contratti in derivati, sino ad oggi, non hanno riportato i criteri e le regole da utilizzare ai fini della valutazione del fair value. Con buona pace, purtroppo, per la tanto invocata trasparenza.

Giorgio Mantovano

DERIVATI.INFO ringrazia il dott. Giorgio Mantovano per la cortese autorizzazione alla pubblicazione del commento

* * *

N. 06579/2010 REG.SEN.
N. 01667/2009 REG.RIC.
N. 01668/2009 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1667 del 2009, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Dexia Crediop S.p.A. in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Fabio Merusi, con domicilio eletto presso la Segreteria del T.
A.R. in Firenze, via Ricasoli n. 40;

contro

la Provincia di Pisa in persona del competente Dirigente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Pasquale Vulcano, con domicilio eletto presso Giovanni Calugi in Firenze, via Gino Capponi n. 26;
sul ricorso numero di registro generale 1668 del 2009, proposto da:
Depfa Bank Plc, in persona dei procuratori speciali pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Fabio Merusi e dall’avv. Massimiliano Danusso, con domicilio eletto presso la Segreteria del T.A.R. in Firenze, via Ricasoli n. 40;

contro

la Provincia di Pisa in persona del competente Dirigente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Pasquale Vulcano, con domicilio eletto presso Giovanni Calugi in Firenze, via Gino Capponi n. 26;

per l’annullamento

quanto al ricorso n. 1667 del 2009 e al ricorso n. 1668 del 2009:
– della determinazione dirigenziale 29 giugno 2009, n. 2799, ad oggetto “ Contratti di interest rate swap per complessivi originari € 95.494.000,00 con Dexia Crediop s.p.a. e Depfa Bank PLC – annullamento”;
– della delibera G.P. Provincia di Pisa 15 luglio 2009 n. 83 ad oggetto “ Individuazione operazione di ristrutturazione del debito – Contratti di interest rate swap con Dexia …….. e Depfa….. annullamento parte delibera G.P. n. 7 del 23 gennaio 2007”
e giusta motivi aggiunti depositati il 13 novembre 2009, per l’annullamento
– della deliberazione C.P. Provincia di Pisa 29 settembre 2009 n. 76, affissa all’Albo Pretorio il 9 ottobre 2009, ad oggetto “ Individuazione operazione di ristrutturazione del debito – Contratti di interest rate swap con Dexia …….. e Depfa….. annullamento parte delibera C.P. n. 60 del 7 giugno 2007”
nonché di ogni altro atto presupposto, conseguente e connesso, ivi compresi gli atti richiamati nella determina 2799/2009 e nella delibera di Giunta 15 luglio 2009 n. 83
e per il risarcimento di tutti i danni subiti e subendi dalla ricorrente per l’effetto dell’illegittimità dei provvedimenti impugnati.
Visti i ricorsi, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Pisa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 ottobre 2010 il dott. Alessandro Cacciari e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

La Provincia di Pisa ha indetto una gara ufficiosa per individuare uno o più intermediari finanziari con i quali perfezionare un’operazione di ristrutturazione del proprio debito. La gara è stata vinta dalle società Dexia Crediop s.p.a. e Depfa Bank PLC riunite in associazione temporanea di imprese. L’operazione si è concretizzata nell’emissione di un prestito obbligazionario al tasso variabile Euribor maggiorato dello spread indicato nell’offerta di gara, per un importo di € 95.494.000; la Provincia ha poi perfezionato due operazioni in derivati di copertura dal rischio di tasso, finalizzate a garantire che il livello dei tassi d’interesse da corrispondere fosse oscillante all’interno di un minimo ed un massimo prestabiliti.
La Provincia di Pisa ha poi annullato la procedura poiché sarebbero stati violati l’art. 41 l. 28 dicembre 2001 n. 448 e l’art. 3 della circolare ministeriale 27 maggio 2004 a causa di costi impliciti dell’operazione non dichiarati dalle ricorrenti. Tali provvedimenti sono stati impugnati con i gravami epigrafati, notificati il 9 ottobre 2009 e depositati il 19 ottobre 2009, per violazione di legge ed eccesso di potere sotto diversi profili. Si é costituita la Provincia di Pisa chiedendo la reiezione dei ricorsi.
Motivi aggiunti sono stati notificati il 7 novembre 2009 e depositati il 13 novembre 2009, ed ulteriori motivi aggiunti sono successivamente stati notificati il 30 aprile 2010 e depositati il 3 maggio 2010.
Le ricorrenti hanno inoltre esperito il 26 giugno 2009 azione contrattuale presso l’Alta Corte di Londra, adita sulla base di una pattuizione contrattuale che devolve al giudice inglese la cognizione delle controversie relativamente ai contratti in questione. L’Alta Corte ha dichiarato la propria competenza a conoscere dei contratti intervenuti tra le parti.
All’udienza del 19 ottobre 2010 le cause sono state trattenute in decisione.

DIRITTO

1. Con i ricorsi epigrafati ed articolando in entrambi i gravami le medesime censure le ricorrenti, aggiudicatarie in associazione temporanea di imprese di una gara per la ristrutturazione del debito dell’intimata Provincia, impugnano i provvedimenti con cui questa ha annullato in via di autotutela i propri atti relativi all’affidamento e preteso di considerare privi di effetti i contratti conseguentemente sottoscritti.
1.1 I ricorsi principali sono articolati in tre motivi.
Con primo motivo lamentano che non sarebbe stata inoltrata la comunicazione di avvio del procedimento di autotutela.
Con secondo motivo deducono che non sarebbe stata violata la l. 488/01, poiché questa non si riferirebbe ai contratti derivati ma solo ai mutui contratti degli enti locali successivamente al 31 dicembre 1996 e alla possibilità della loro conversione. Inoltre il derivato non sarebbe configurabile quale passività né il valore iniziale dell’operazione può essere considerato come una commissione o un costo, ma costituirebbe una valorizzazione storica dello swap. L’operazione non rientrerebbe nemmeno nell’ambito di applicazione della circolare ministeriale 27 maggio 2004 poiché questa non statuirebbe alcunché in merito ad una presunta obbligatoria equivalenza tra il valore del livello minimo e quello del livello massimo del tasso d’interesse. Inoltre non sussisterebbe un interesse pubblico all’annullamento degli atti e non sarebbero stati valutati gli interessi dei destinatari. Sotto questi profili gli atti gravati sarebbero quindi viziati per difetto di motivazione.
Con terzo motivo deducono che i provvedimenti di autotutela relativi a procedure di evidenza pubblica non potrebbero estendere i propri effetti al contratto medio tempore stipulato. Pertanto, anche laddove venissero respinti i motivi sopramenzionati, i provvedimenti gravati resterebbero illegittimi nelle parti in cui pretendono di estendere gli effetti dell’annullamento in autotutela anche ai contratti intercorsi tra la Provincia e le ricorrenti, dovendo la prima rivolgersi al giudice competente a conoscere della loro validità che, nel caso di specie, in virtù di apposita pattuizione tra le parti è il giudice inglese.
Le ricorrenti formulano anche richiesta di risarcimento per i danni asseritamente derivanti dal mancato rispetto degli accordi contrattuali tra le parti, e dalla pubblicizzazione della vicenda effettuata dalla Provincia che avrebbe recato loro un danno di immagine.
1.2 Con i primi motivi aggiunti viene impugnato un ulteriore provvedimento di autotutela con cui il Consiglio della Provincia intimata annulla la propria decisione di ristrutturazione del debito, nella sola parte relativa all’operazione in derivati, per i medesimi motivi articolati avverso i provvedimenti impugnati in via principale.
1.3 Con secondi motivi aggiunti le ricorrenti, presa visone del parere dell’impresa consulente della Provincia in base al quale sono motivati per relationem i provvedimenti impugnati, articolano le seguenti censure.
La Provincia si è rivolta ad una società di un gruppo bancario privato anziché ad un’amministrazione pubblica specializzata in materia per ottenere un parere tecnico, e questo costituirebbe un primo profilo di illegittimità: un’amministrazione pubblica infatti non potrebbe adottare un provvedimento unicamente in riferimento a motivazioni privatistiche non previste come atti di un procedimento amministrativo.
Inoltre la relazione tecnica posta a base dei provvedimenti impugnati sarebbe errata. Malamente infatti sarebbe stato determinato il valore del contratto derivato, che peraltro non può essere considerato quale passitività, al momento della sua stipulazione poiché non si sarebbe tenuto conto dei principi contabili internazionali ed in particolare il principio IAS 39 di cui al Regolamento CE 1725/2003: non si terrebbe infatti conto dell’effettivo mercato di riferimento in cui si è collocata l’operazione, che non è stata effettuata su un mercato attivo quale il mercato interbancario, non è liquida ed é priva di qualsiasi garanzia reale.
Il parere inoltre confermerebbe che la questione di presunti costi impliciti non avrebbe a che fare con la convenienza economica di cui alla l. 448/01, che si riferirebbe esclusivamente a condizioni migliorative del prestito obbligazionario rispetto ai mutui in essere e non al contratto derivato per la gestione dei rischi legati alle fluttuazioni del tasso d’interesse, il quale deve garantire che l’oscillazione dei tassi riferiti allo strumento di finanziamento sostitutivo del vecchio debito venga contenuta entro una banda di oscillazione predefinita.
1.4 La Provincia intimata replica puntualmente alle deduzioni delle ricorrenti evidenziando in particolare che l’interesse pubblico all’esercizio dell’autotutela sorgerebbe dalla violazione dei principi di economicità e convenienza economica, anche ai sensi dell’art. 1, comma 136, l. 3 dicembre 2004 n. 311. L’annullamento in autotutela dei provvedimenti di evidenza pubblica implicherebbe poi la caducazione sopravvenuta del contratto nel frattempo stipulato, per il venir meno di uno dei presupposti di efficacia del medesimo.
2. I ricorsi devono essere riuniti per ragioni di connessione oggettiva e soggettiva.
2.1 Il primo motivo di ricorso deve essere respinto. La difesa provinciale ha infatti prodotto una nota in data 5 giugno 2009 che l’Amministrazione intimata aveva indirizzato ad entrambe le banche, nella quale è stata data contestazione puntuale delle criticità rilevate nell’operazione e richiesto lo stralcio della posizione debitoria dell’ente, con diffida dal richiedere il pagamento della successiva scadenza semestrale ed invito a prendere contatto con il Servizio gestione risorse finanziarie ed umane dell’ente stesso (ed indicazione dei recapiti). Le ricorrenti sono state quindi messe in grado di rappresentare le proprie ragioni, e liberamente, a distanza di pochi giorni, hanno preferito avviare un procedimento presso l’Alta Corte di Londra il 26 giugno 2009.
2.2 La trattazione delle ulteriori doglianze relative alla legittimità dei provvedimenti impugnati richiede una ricostruzione delle caratteristiche essenziali dell’operazione avviata dalle ricorrenti con la Provincia intimata al fine della ristrutturazione del suo debito.
Gli swap sono contratti a termine, che prevedono lo scambio a termine di flussi di cassa calcolati con modalità stabilite alla stipulazione del contratto. Questo sistema può permettere di diminuire il rischio connesso, come nel caso di specie, alle fluttuazioni dei tassi di interesse o di cambio. L’Interest Rate Swap è il contratto swap più diffuso, con il quale due parti si accordano per scambiarsi reciprocamente, per un periodo di tempo predefinito al momento della stipula, pagamenti calcolati sulla base di tassi di interesse differenti e predefiniti, applicati ad un capitale nozionale. Non sussiste quindi uno scambio di capitali, ma solo di flussi corrispondenti al differenziale fra i due interessi. Il contratto ha scadenze che superano l’anno e i pagamenti devono essere effettuati a scadenze periodiche, comprese tra i tre e i dodici mesi. Per garantire l’equilibrio tra le parti detto contratto, al momento della stipulazione, deve dare un risultato differenziale pari a zero; in caso contrario risulterà squilibrato a favore di uno dei contraenti.
Nel caso di specie il contratto era stato stipulato il 4 luglio 2007 per la copertura del rischio derivante dalla fluttuazione dei tassi relativi ad un bond (capitale nozionale) emesso dalla Provincia il 28 giugno 2007, e il differenziale sarebbe stato calcolato sulle oscillazioni dell’Euribor. La scadenza delle rate tra i contraenti era stabilita a sei mesi. La Provincia intimata e le ricorrenti avevano anche stabilito che l’oscillazione sulla quale calcolare il differenziale venisse contenuta entro determinati limiti, in modo che se l’Euribor fosse salito oltre il 5,99% (cap), la differenza sarebbe rimasta a carico delle banche; se invece fosse sceso il 4,64% (floor), la Provincia avrebbe comunque continuato a pagare detto tasso.
I provvedimenti di autotutela gravati sono motivati in riferimento alla relazione prodotta alla Provincia da parte della società specializzata Calipso, che ha analizzato l’operazione in questione verificando che gli swap sottoscritti con le banche avevano un valore negativo a carico della Provincia. Tale relazione viene contestata sotto diversi profili con il terzo ricorso per motivi aggiunti, dal quale pertanto è necessario prendere le mosse.
È inconferente che la Provincia si sia rivolta ad un’impresa privata anziché ad un’amministrazione pubblica poiché ciò non influisce sulla legittimità dei provvedimenti adottati, ma al più può essere fonte di responsabilità erariale a carico degli amministratori. Non sembra poi che la provenienza della relazione da un soggetto privato possa viziare l’intero procedimento e l’atto finale del medesimo posto che è usuale, in ogni procedimento amministrativo, che l’amministrazione utilizzi anche documenti di privati, basti ricordare le istanze private che avviano un procedimento o i documenti e le memorie che gli interessati possono presentare nel corso del procedimento ai sensi dell’art. 10 della legge 7 agosto 1990, n. 241.
Quanto ai lamentati vizi intrinseci della relazione la difesa delle ricorrenti non appare convincente. Come correttamente replica la difesa provinciale, infatti, l’esposizione in derivati non è equivalente all’esposizione di un finanziamento in capitale, poiché nel derivato essa è rappresentata dai differenziali che sono l’eccesso dell’interesse calcolato sul capitale rispetto ad un certo limite. Sono quindi inconferenti le doglianze delle ricorrenti relative al rischio di mercato. La contestata relazione d’altra parte non considera quale passività i derivati in sé, ma individua l’assenza di convenienza economica per la Provincia nell’operazione in questione a causa della mancanza di parità tra le posizioni contrattuali iniziali, che ha portato ad uno squilibrio a suo sfavore. Questi fatti non vengono smentiti dalla difesa delle ricorrenti che non riesce a dimostrare l’esistenza di un vantaggio, nell’operazione in questione, per l’Amministrazione. Un differenziale negativo costituisce indubbiamente una passività per essa.
Appare quindi effettivamente violata la disposizione di cui all’art. 41, comma 2, l. 448/01 poiché nell’operazione in questione non è stato raggiunto l’obiettivo posto dalla suddetta norma di assumere condizioni di rifinanziamento dei mutui contratti dopo il 31 dicembre 1996 con il collocamento di titoli obbligazionari, tali da consentire una riduzione del valore delle passività a carico degli enti stessi, al netto delle commissioni. Così non è nel caso di specie, e la differenza di valore tra i contratti derivati da stipulare era stata taciuta dalle banche alla Provincia, ed anche tale circostanza non risulta contestata.
Nessun dubbio poi che l’ambito di applicazione della norma suddetta riguardi il caso di specie poiché il disposto di cui all’art. 41, comma 2, l. 448/01 definisce il proprio perimetro applicativo con riferimento all’emissione di nuove obbligazioni da parte di enti pubblici, come avvenuto nel caso di specie.
Sotto questo profilo i provvedimenti di autotutela impugnati risultano corretti poiché hanno dato conto dei motivi per cui è stato disposto l’annullamento dei precedenti provvedimenti in discussione, e il relativo interesse pubblico consiste nell’evitare un illegittimo esborso finanziario a carico dell’ente, con indebita percezione di vantaggi a favore dei soggetti privati (C.d.S. V, 22 marzo 2010 n. 1672 in diversa fattispecie, ma con principio applicabile al caso in esame).
2.3 Occorre ora verificare come l’annullamento correttamente disposto dalla Provincia intimata si ripercuota sull’assetto contrattualmente definito dei rapporti con le ricorrenti. Si tratta, in altri termini, di valutare in che modo l’adozione di atti di autotutela relativamente a provvedimenti in materia di individuazione del contraente da parte della stazione appaltante influisca sulla sorte del contratto nel frattempo stipulato.
Il Collegio è consapevole che la giurisprudenza amministrativa, assumendosi nel passato competente a giudicare sulla sorte del contratto stipulato in caso di annullamento dell’aggiudicazione, ritenne che ciò comportasse la caducazione del negozio per difetto di un presupposto di efficacia. Tale prospettiva venne ritenuta valida sia in caso di annullamento giudiziale degli atti di evidenza pubblica, sia nel caso in cui fosse l’amministrazione stessa ad autoannulare i propri provvedimenti poiché anche in questa ipotesi, stante la consequenzialità tra aggiudicazione della gara pubblica e stipulazione del relativo contratto, l’eliminazione degli atti della procedura amministrativa implicavano la caducazione automatica degli effetti del contratto successivamente stipulato (C.d.S. V, 28 maggio 2004 n. 3465). Questa prospettiva era fondata sull’opinione che il contratto stipulato all’esito di una procedura di evidenza pubblica fosse il momento terminale di un continuum procedimentale di talché, una volta venuto meno l’antecedente rappresentato dall’aggiudicazione (per un annullamento vuoi giudiziale, vuoi in autotutela) il contratto perdeva efficacia in via automatica, senza necessità di ulteriori provvedimenti che non fossero una presa d’atto da parte del giudice o della stessa amministrazione appaltante. L’effetto caducante era considerato quindi una conseguenza necessaria del venir meno degli atti di evidenza pubblica, vuoi per sentenza vuoi per autotutela, che non richiedeva per il suo verificarsi alcuna pronuncia costitutiva.
Questo era lo stato dell’arte quando la Corte di Cassazione a sezioni unite (ex multis, sentenza n. 27169/07) ritenne che il giudice ordinario e non quello amministrativo fosse competente a giudicare sul contratto di appalto, interpretando la giurisdizione esclusiva amministrativa in tema di procedure di affidamento di contratti pubblici come concludentesi con l’aggiudicazione, senza estensione alla cognizione sul contratto. Quest’ultima, secondo la Cassazione, non poteva che spettare al giudice ordinario poiché tale giudizio si pone nella fase esecutiva del contratto stesso in cui l’individuazione del giudice competente deve essere operata in base all’ordinario criterio di riparto diritti-interessi, e il relativo processo ha ad oggetto appunto diritti soggettivi.
Il giudice amministrativo non si contrappose frontalmente all’assunto della Cassazione ma si ritenne competente a sindacare in sede di ottemperanza il comportamento della stazione appaltante che non prendesse atto della sopravvenuta inefficacia del contratto all’esito dell’annullamento dell’aggiudicazione. Poiché in sede di ottemperanza il giudice amministrativo può sostituirsi all’amministrazione, secondo questa interpretazione non vi sarebbero ostacoli a che esso ordini alla stazione appaltante riottosa di fare subentrare nell’esecuzione del contratto il concorrente vittorioso nel ricorso avverso l’originaria aggiudicazione (C.d.S.A.P. n. 9/2008). La stazione appaltante doveva infatti “prendere atto” della caducazione del contratto e, se non vi avesse provveduto spontaneamente, ben avrebbe potuto farlo il giudice amministrativo adito in sede di ottemperanza.
Tale costruzione deve essere rivista alla luce della direttiva comunitaria 2007/66/CE (in seguito: “Direttiva”) in materia di ricorso contro l’aggiudicazione degli appalti pubblici. In tale normativa infatti il legislatore comunitario si è dato carico di valutare le conseguenze dell’annullamento giudiziale dell’aggiudicazione sul contratto pubblico nel frattempo stipulato, prevedendo il potere dell’organo di ricorso, nel nostro caso il giudice amministrativo, di privarlo di efficacia al concorrere di determinate circostanze e valutando gli interessi in gioco, primo fra tutti quello alla corretta e spedita esecuzione delle prestazioni contrattuali. L’azione volta alla declaratoria di inefficacia del contratto non ha carattere accertativo ma costitutivo poiché, in base agli artt. 121 e 122 del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, al giudice spetta il potere di decidere discrezionalmente (anche nei casi di violazioni gravi) se mantenere o meno l’efficacia del contratto. Ciò vuol dire che l’inefficacia non è conseguenza automatica dell’annullamento dell’aggiudicazione, che determina solo il sorgere del potere in capo al giudice di valutare se il contratto debba o meno continuare a produrre effetti.
La rappresentazione della difesa provinciale è ancorata alla vecchia teoria in base alla quale l’annullamento, anche in autotutela, dell’aggiudicazione comportava l’automatica caducazione del contratto; alla luce della normativa europea e della legislazione di recepimento occorre invece ritenere che non si produce in via automatica l’inefficacia del contratto, ma per raggiungere tale risultato occorre l’intervento di una pronuncia costitutiva dell’organo di ricorso ossia, nell’ordinamento italiano, del giudice amministrativo. Il legislatore ha quindi valutato che l’interesse pubblico, che nella fase precontrattuale attiene alla creazione di un mercato unico europeo, sussista anche nella fase di esecuzione del contratto relativamente però ad un altro bene collettivo, vale a dire la spedita esecuzione dell’opera pubblica, servizio o fornitura. Tale valutazione è però stata riservata alla competenza del giudice amministrativo, “organo di ricorso” secondo la normativa comunitaria, e non alla stazione appaltante medesima. Né la normativa interna né quella comunitaria, infatti, in alcun punto prendono in considerazione l’ipotesi che sia la seconda a poter privare di efficacia il contratto stipulato mediante l’autoannullamento o la revoca dei provvedimenti che hanno portato all’individuazione del contraente, sull’assunto che non può consentirsi ad alcun soggetto, nemmeno se trattasi di ente pubblico, di sciogliersi unilateralmente da un vincolo contrattuale. Pertanto, come correttamente rappresentato nella discussione in pubblica udienza dalla difesa delle ricorrenti, la mancata menzione nella legislazione di un potere di autotutela a favore della stazione appaltante deve essere interpretata nel senso che la valutazione degli interessi connessi alla continuazione nell’esecuzione di un contratto, in caso di violazione della normativa di evidenza pubblica, compete unicamente al giudice e non può invece derivare da un’iniziativa autonoma della stazione appaltante. Tali principi implicano quindi che nel nostro ordinamento non può essere consentito a quest’ultima di influire in modo unilaterale sull’efficacia del contratto stipulato, nemmeno laddove siano individuate violazioni della procedura di evidenza pubblica. Essa dovrà invece adire il giudice competente a conoscere dell’esecuzione del contratto il quale, ai fini della decisione, potrà apprezzare l’avvenuto annullamento dei provvedimenti di evidenza pubblica.
Deve quindi essere accolto il terzo motivo del ricorso principale e, per l’effetto, i provvedimenti impugnati devono essere annullati nelle parti in cui pretendono di togliere efficacia ai contratti stipulati con le ricorrenti, e precisamente nei punti 2) e 3) della determinazione dirigenziale 29 giugno 1999, n. 2799.
2.4 La domanda risarcitoria è inammissibile.
Discende, dalle conclusioni cui il Collegio è pervenuto in merito ai rapporti tra esercizio dell’autotutela e sorte del contratto medio tempore stipulato, che l’autoannullamento degli atti di evidenza pubblica da parte dell’Amministrazione intimata non esercita effetto caducante sui negozi stipulati con le ricorrenti, sicché solo il giudice civile è competente a conoscere delle questioni inerenti il rispetto degli accordi contrattuali intercorsi tra loro. In tale sede giudiziaria le ricorrenti potranno fare valere le proprie pretese per l’asserita inottemperanza agli accordi contrattuali da parte della Provincia intimata.
Quanto alla richiesta risarcitoria per il danno di immagine, essa trae origine da un’intervista rilasciata dal Presidente della Provincia ad un quotidiano, che è apparsa sulla pagina locale del medesimo. A dire delle ricorrenti la pubblicizzazione della vicenda in discussione avrebbe recato un danno alla propria immagine sociale e di mercato, che andrebbe ristorato mediante criteri equitativi. Il Collegio si ritiene incompetente ad esaminare la questione poiché tale asserito danno non è conseguenza diretta dell’emanazione dei provvedimenti impugnati, ma appare causalmente legato al comportamento del presidente provinciale che ha dato risalto alla vicenda de qua. Il danno di cui si asserisce l’esistenza, cioè, non deriva dall’esercizio di un potere amministrativo concretantesi nell’utilizzo di una potestà pubblicistica dell’ente, che rappresenta il perimetro della giurisdizione di questo Giudice (art. 7, d.lgs. 104/20109. La domanda in esame pertanto deve essere dichiarata anch’essa inammissibile per difetto di giurisdizione.
3. In conclusione i ricorsi in esame devono essere accolti parzialmente e respinti per la parte restante, nei sensi di cui sopra, e la domanda risarcitoria deve essere dichiarata inammissibile.
Le spese possono essere compensate in ragione della reciproca soccombenza delle parti.
Il Collegio manda alla Segreteria per la trasmissione degli atti alla Procura della Corte dei Conti, ai fini dell’accertamento di eventuali responsabilità per danno erariale nella vicenda in esame.
P.Q.M.
riuniti i ricorsi in epigrafe li accoglie parzialmente e li respinge per la parte restante. Per l’effetto, annulla i punti 2) e 3) della determinazione dirigenziale 29 giugno 1999, n. 2799. Dichiara inammissibile la domanda risarcitoria.
Spese compensate.
Manda alla Segreteria per la trasmissione degli atti alla Procura della Corte dei Conti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Firenze nelle camere di consiglio dei giorni 19 ottobre e 3 novembre 2010 con l’intervento dei magistrati:
Luigi Papiano, Presidente
Carlo Testori, Consigliere
Alessandro Cacciari, Primo Referendario, Estensore

L’ESTENSORE                                                                                                                    IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/11/2010
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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23 Dicembre 2010   Commenti disabilitati su DERIVATI ED ENTI LOCALI: UN’IMPORTANTE PRONUNCIA DEL TAR DI FIRENZE

IL TRIBUNALE DI BARI SI INTRATTIENE SUL CONCETTO DI “CAUSA CONCRETA” NEL CONTRATTO DI SWAP


Commento a cura dell’avv. Giuseppe Angiuli

  L’ordinanza cautelare adottata dal Tribunale di Bari il 15.7.2010 (G.I. dott. Scoditti, pubblicata su www.ilcaso.it) si segnala per due significative prese di posizione:

  1. la fedele applicazione del principio fissato dal celebre arret della Corte di Cassazione (n. 12138/2009) in tema di efficacia della “autocertificazione” sul possesso dello status di operatore qualificato;
  2. la centralità attribuita al concetto di “causa concreta” nel negozio di interest rate swap.

Un’impresa pugliese, stanca di vedersi addebitare dei sempre più pesanti differenziali passivi derivanti da operazioni di interest rate swap negoziate con il proprio istituto, aveva proposto ricorso cautelare in corso di causa, chiedendo una pronuncia di immediato stop agli addebiti in conto corrente. [Continua a leggere →]

Dalla documentazione acquisita agli atti risultava che la stessa società, all’atto di stipulare il “contratto-quadro” sui servizi di investimento, avesse rilasciato alla banca, per mezzo di dichiarazione sottoscritta dal proprio legale rappresentante, la consueta attestazione positiva circa il suo possesso del controverso status di “operatore qualificato”, a cui faceva riferimento il noto art. 31 del regolamento CONSOB n. 11522, rimasto in vigore fino al 2.11.2007.

Agendo in giudizio, la società aveva poi negato la effettiva sussistenza, al proprio interno, di alcuna specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in strumenti finanziari, richiamandosi ad un diffuso orientamento dei Tribunali di merito che, prima che intervenisse la Cassazione con la nota pronuncia del maggio 2009, avevano sostanzialmente “smontato” la portata applicativa di tale forma di “autocertificazione”.

Il Tribunale di Bari, nel valutare la sussistenza dei presupposti di fumus boni iuris dell’istanza cautelare, non ha mostrato alcun dubbio nell’aderire al principio fissato dalla Corte nomofilattica, respingendo così il tentativo della società ricorrente di far valere il presunto inadempimento dell’intermediaria ai generali obblighi di comportamento dettati dagli artt. 27-30 reg. CONSOB cit.

Secondo il Giudice Istruttore barese, nella fattispecie, pur avendo la ricorrente allegato la discordanza tra il contenuto della suddetta “autocertificazione” e la situazione reale, essa non è riuscita a dimostrare la conoscenza – o concreta conoscibilità – da parte dell’intermediario mobiliare, di tale presunta discordanza. Più in particolare, il G.I. ha ritenuto di non poter dedurre alcun elemento utile in tal senso dalla mera lettura dei bilanci (1) pregressi della società (in cui in effetti non si faceva alcun riferimento alla previa stipulazione di contratti del tipo interest rate swap), non potendo peraltro escludersi la possibilità che la stessa società avesse svolto in passato analoghe attività di investimento finanziario presso altri operatori bancari.

Pur tuttavia, nonostante si sia vista riconoscere a livello giudiziale la qualifica di “operatore qualificato”, la società ricorrente ha potuto trovare sostegno, sempre sotto il profilo del fumus dell’azione cautelare, nella probabile sussistenza della nullità delle intervenute operazioni di ristrutturazione dello swap, alla luce della riscontrata mancanza di una “causa concreta” del contratto.

Ed è qui che si palesa la parte più interessante della pronuncia cautelare in discorso.

Il Tribunale di Bari, nel motivare il suo provvedimento di accoglimento delle ragioni della società ricorrente, si è mosso a partire da una compiuta definizione concettuale dello swap quale “contratto nominato ma atipico, in quanto privo di disciplina legislativa (ovvero solo socialmente tipico)”.

Ancora, lo swap è stato qualificato come contratto “a termine, consensuale, oneroso e aleatorio, contraddistinto per ciò che riguarda l’interest rate swap dallo scambio a scadenze prefissate dei flussi di cassa prodotti dall’applicazione di diversi parametri ad uno stesso capitale di riferimento (cd. nozionale)”.

Se è questa la definizione corretta da darsi al contratto, ergo, la causa (o funzione economico-sociale) dell’interest rate swap non può che risiedere nella “copertura di un rischio mediante un contratto aleatorio, con la finalità di depotenziare le incertezze connesse ai costi dei finanziamenti. In pratica la posta passiva derivante dall’aumento del tasso variabile relativo al finanziamento dovrebbe essere, nella prospettiva del cliente, neutralizzata dalla posta attiva costituita dal rapporto tra tasso fisso e tasso variabile nel rapporto di swap. Se però il tasso di interesse anziché aumentare crolla, ciò rappresenta un indubbio vantaggio quanto al rapporto di finanziamento, ma nell’ambito dello swap è il cliente a dover versare la differenza alla banca, e l’ammontare della perdita è direttamente proporzionale al livello di abbassamento del tasso.

L’ordinanza del Tribunale di Bari fotografa una situazione ampiamente riscontrata nella pratica del contenzioso in materia di derivati: sono numerose, infatti, le imprese (e gli enti pubblici) che, nel periodo fino agli anni 2007-2008 (e cioè prima che si assistesse ad un generale ribasso dei tassi sul mercato), sono stati indotti a stipulare dei prodotti interest rate swap con il dichiarato intento di coprirsi dal rischio di eccessivo rialzo dei tassi. Ma una volta che, a partire dalla fine del 2008, la curva dei tassi euribor ha iniziato a prendere una china inesorabilmente negativa (cioè di generale ribasso), quegli stessi strumenti finanziari, promessi come vantaggiosi per la parte debitrice, si sono rivelati, nei fatti, una vera e propria “trappola-mangiasoldi” per via dei differenziali di cassa sempre più sfavorevoli ai clienti delle banche.

Sul solco del suddetto ragionamento, il Tribunale di Bari ha ritenuto meritevole di accoglimento la doglianza della società ricorrente, che denunciava, a proposito delle operazioni di ristrutturazione dello swap suggerite medio tempore dalla banca, l’inadeguatezza ab origine di tali operazioni nel realizzare il dichiarato scopo di copertura dal rischio di rialzo dei tassi.

E infatti, l’aver incorporato, all’interno delle ristrutturazioni dello swap, la vecchia passività accumulata dall’impresa, unitamente a costi impliciti non dichiarati e per di più con l’aggravante di aver previsto dei tassi fissi di riferimento sempre crescenti a danno della cliente, ha evidentemente comportato – sempre secondo il Tribunale di Bari – la preclusione sin dall’inizio della possibilità di perseguire quella che è stata ritenuta l’unica possibile causa concreta del negozio interest rate swap, vale a dire la copertura del rischio.

Rimandando ad un migliore approfondimento, in sede di merito, circa i meccanismi aritmetici sottesi alla ristrutturazione del prodotto, il Tribunale ha ritenuto per intanto di ravvisare un “verosimile difetto genetico di causa dei contratti stipulati in sede di ristrutturazione del debito” ed ha al contempo riscontrato il periculum in mora nella perdita del merito creditizio che si riverberebbe sulla stessa esistenza dell’attività imprenditoriale: alla luce di tali elementi, l’organo giurisdizionale ha dunque ordinato alla banca, ai sensi dell’art. 700 c.p.c., di sospendere gli addebitamenti in conto corrente di tutti i differenziali negativi derivanti dagli swap in essere.

L’importanza della pronunzia in rassegna discende pertanto dall’avere essa valorizzato in senso decisivo la nozione di causa concreta del contratto di swap, in linea con gli insegnamenti generali della giurisprudenza di legittimità, che negli ultimi anni ha rimarcato in più occasioni come il requisito causale del contratto vada individuato nello scopo pratico del negozio, quale sintesi degli interessi che lo stesso è concretamente diretto a realizzare (cfr. Cass. civ., 8 maggio 2006, n. 10490; nello stesso senso, Cass., 12 novembre 2009, n. 23941; il principio è stato altresì richiamato da Cass., sezioni unite, n. 26972/2008 e n. 3947/2010).

Sotto tale profilo, l’accertamento dell’effettiva impossibilità di perseguire la causa concreta della copertura del rischio in operazioni di interest rate swap dischiude le porte alla nullità contrattuale per difetto genetico di causa.

NOTE
(1) E’ noto a tutti il generale principio dettato dall’art. 2709 cod. civ., a mente del quale i libri e le altre scritture contabili di una società, di regola, fanno prova contro l’imprenditore.

* * *

Link al provvedimento:

http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/2360.php

15 Luglio 2010   Nessun commento

IPOTIZZABILE IL REATO DI TRUFFA AI DANNI DI UN COMUNE

Commento a cura di Giorgio Mantovano, dottore commercialista,
a margine dell’ordinanza del GIP di Milano del 23.4.2009

Articolo pubblicato sul “Nuovo Quotidiano di Puglia” del 19 marzo 2010

Stando a quanto riportato dalla stampa, sotto la lente di ingrandimento delle Procure della Repubblica risultano le operazioni in prodotti derivati poste in essere dalla finanza pubblica: ossia da sette Regioni (Calabria, Sicilia, Liguria, Piemonte, Puglia e Toscana), 8 Comuni capoluogo (Pescara, Napoli, Verona, Torino, Messina, Firenze, Terni, Lecce), 2 Province (Brindisi, Torino) e 30 Comuni non capoluogo. [Continua a leggere →]

Le inchieste riguarderebbero contratti per un nozionale pari ad almeno 9,5 miliardi di Euro.

Le amministrazioni non avrebbero adeguatamente compreso che cosa acquistavano e si sarebbero esposte al rischio di perdite ingenti.

Eventualità questa che avrebbe spinto molti enti a dire addio, in anticipo, alla scommessa. L’allarmismo non è solo nostrano.

19 Marzo 2010   Commenti disabilitati su IPOTIZZABILE IL REATO DI TRUFFA AI DANNI DI UN COMUNE

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