LA PROCURA DI TRANI CITA A GIUDIZIO PASSERA E BAZOLI PER I DERIVATI FATTI SOTTOSCRIVERE A DUE AZIENDE DI BARLETTA
27 Novembre 2014 Nessun commento
VERSO L’APPROVAZIONE DELL’ARTICOLO 33 DELLA LEGGE DI STABILITA’ 2015. IL COMUNICATO DI PROTESTA DI ADUSBEF
Le grandi banche di affari come Goldman Sachs, Credit Suisse, Morgan Stanley, che hanno venduto swap e derivati tossici allo Stato, acquistati dai vertici del ministero delle Finanze per 160 miliardi di euro negli anni 90, quando il numero uno della Bce Mario Draghi era direttore generale del Tesoro (ministro dell’Economia era Azeglio Ciampi e governatore di Bankitalia Antonio Fazio) per rientrare negli obiettivi di deficit fissati dalle autorità europee, rinegoziati nel 2012 perché le banche avevano l’esigenza di ridurre il rischio rappresentato dal nostro Paese con gravi perdite per le casse pubbliche, hanno appena ottenuto dal Governo Renzi e dal ministro dell’Economia, i più fedeli camerieri dei banchieri, l’ennesima garanzia statale con l’articolo 33 legge stabilità, appena approvata dalla commissione finanze della Camera dei Deputati. [Continua a leggere →]
La commissione finanze della Camera (con l’opposizione del M5S) ha autorizzato il Tesoro «a stipulare accordi di garanzia in relazione alle operazioni in strumenti derivati», clausola capestro nota come “Double way Credit Support Annex (CSA), che obbliga la parte su cui grava la perdita potenziale a garantire i pagamenti futuri sui contratti derivati attraverso un deposito di garanzia, e poiché con gli attuali bassi tassi di interesse, con “mark to market” negativo, grava sullo Stato la perdita potenziale, il Tesoro si obbliga a dover postare “collaterale” a garanzia degli impegni assunti, in modo da immunizzare le banche dal rischio di controparte. Situazione analoga a quella in cui si è trovata Banca Mps verso Nomura e Deutsche Bank nelle operazioni Santorini ed Alexandria, con MPS che a garanzia degli impegni assunti, è stata costretta a versare garanzie collaterali per 5 miliardi di euro ed al crack MPS, impedito con 4,1 miliardi di Monti bond.
Nel giugno 2012, dopo l’allarme lanciato dal Financial Times sui risvolti preoccupanti per i conti pubblici rispetto ad una quantità di derivati sottoscritti, con il governo Monti che in soli sei mesi riuscì a ristrutturare contratti per 30 miliardi di euro, consolidando 8,1 miliardi di perdite, sborsando cash oltre 2,5 miliardi di euro a Morgan Stanley, dove lavora l’ex Ministro del Tesoro Domenico Siniscalco ed il figlio di Mario Draghi, presidente Bce e direttore generale del Tesoro tra il 1991 ed il 2001, prima di essere arruolato da una delle banche d’affari che ha appioppato derivati tossici, Adusbef e Federconsumatori presentarono esposti-denunce a 10 procure della Repubblica, sottolineando come non sia più tollerabile che banche d’affari e tecnocrati del Tesoro facciano profitti su contratti fraudolenti.
Negli esposti, dopo aver chiesto di indagare sui tecnocrati che hanno prosperato attorno al Ministero del Tesoro, quali Draghi, Grilli, La Via, ed altri furbetti fomentati dalle banche d’affari, che poi hanno ripagato i ‘civil servant’ con lavori o consulenze lautamente pagate, Adusbef e Federconsumatori avevano chiesto di sequestrare i contratti derivati i quali, analogamente a Santorini ed Alexandria del Monte dei Paschi di Siena, sono stati ristrutturati con perdite rilevanti per lo Stato. Il gravissimo danno causato dalle banche di affari, come Goldman Sachs, che ha poi assunto Mario Draghi nei primi anni novanta; Morgan Stanley, che ha cooptato l’ex Ministro del Tesoro Domenico Siniscalco; Credit Suisse, che ha arruolato l’ex direttore e poi ministro Vittorio Grilli, in un sistema di porte girevoli con il ministero dell’Economia, non è più tollerabile in una fase di crisi drammatica per milioni di famiglie italiane e di giovani senza futuro.
Adusbef e Federconsumatori, nel prendere atto dell’ennesima norma capestro scritta ad hoc da tecnocrati e cleptocrati del Tesoro, ad uso e consumo delle banche di affari, continueranno a denunciare i derivati avariati che hanno generato la crisi sistemica ed intossicato l’economia reale con la perdita di 30 milioni di posti di lavoro dal 2007 con lo scoppio della bolla dei sub-prime, continueranno a denunciare il disastro derivati e gli ingenti danni pagati dalla collettività, su conti pubblici e future generazioni.
Elio Lannutti (Adusbef) – Rosario Trefiletti (Federconsumatori)
Roma, 18.11.2014
Link all’articolo: http://www.adusbef.it/
27 Novembre 2014 Nessun commento
TRE PERSONE A PROCESSO PER I DERIVATI SOTTOSCRITTI DALLA REGIONE PUGLIA CON MERRILL LYNCH. ADUSBEF PREANNUNCIA LA SUA COSTITUZIONE COME PARTE CIVILE
28 Ottobre 2014 Nessun commento
LA CORTE D’APPELLO DI BOLOGNA ANNULLA LE OPERAZIONI IN DERIVATI DEL COMUNE DI CATTOLICA
Commento a cura dell’avv. Giuseppe Angiuli
Con una clamorosa pronuncia che ha totalmente ribaltato le conclusioni a cui era approdato il giudice di primo grado, la Corte d’Appello di Bologna (III^ sez. civile, sentenza n. 734 depositata l’11.3.2014, pubblicata su www.ilcaso.it, sez. Giurisprudenza, 10296) ha dichiarato la nullità ed inefficacia di tre contratti swap conclusi dal Comune di Cattolica tra il 2003 ed il 2004, condannando la BNL a restituire all’ente locale romagnolo dei differenziali negativi per un ammontare di diverse centinaia di migliaia di euro. [Continua a leggere →]
La difesa del Comune aveva fondato per gran parte la sua azione giudiziale sull’accertamento della dedotta irregolarità delle modalità di formazione della volontà contrattuale all’interno della pubblica amministrazione: in particolare, fin dalla fase di prime cure si era sostenuta la tesi della carenza di poteri in capo al dirigente del settore finanziario (firmatario dei contratti derivati) in assenza di una previa deliberazione del Consiglio Comunale che predeterminasse “a monte” le condizioni e le finalità degli swaps e che individuasse le modalità di scelta del contraente privato.
Inoltre, l’ente pubblico aveva dedotto quali ulteriori elementi di criticità, nell’ordine, la violazione dell’obbligo di forma pubblica dell’atto, la carenza della previa adozione di alcun impegno di spesa in relazione all’indebitamento da derivati oltre al mancato aggancio di tale indebitamento al finanziamento di spese per investimenti, tutte prescrizioni traenti la loro fonte normativa nel Testo Unico sugli enti locali (d. lgs. n. 267 del 2000, cd. TUEL).
In primo grado, il Tribunale di Bologna aveva respinto le domande del Comune muovendo dalla decisiva considerazione secondo cui la negoziazione di uno strumento derivato non costituirebbe in sé e per sé una forma di indebitamento per l’ente territoriale, considerazione da cui era stata fatta scaturire la ritenuta inapplicabilità, in tutti i procedimenti amministrativi prodromici alla stipula di un contratto swap, delle molteplici prescrizioni di forma e di sostanza generalmente previste dal TUEL ed in questo caso invocate dalla difesa del Comune.
Il collegio di secondo grado, smentendo la tesi del Tribunale, ha fissato un principio generale di estrema importanza da cui potranno certamente trarre spunto gli operatori del diritto (giudici e avvocati) coinvolti nell’ampio contenzioso che nei Tribunali italiani vede oggi contrapposti enti locali e banche in materia di contratti di finanza derivata: secondo la Corte felsinea, il contratto di interest rate swap, tanto nel caso in cui preveda l’erogazione di un up front (o premio di liquidità) nella fase iniziale del negozio quanto nel caso in cui non lo preveda, costituisce sempre e comunque, “proprio per la sua natura aleatoria, una forma di indebitamento per l’ente pubblico, attuale o potenziale” (cfr. a pag. 10 della sentenza).
A questa conclusione i giudici bolognesi sono pervenuti dopo avere sposato una nozione del contratto IRS inteso come “una lecita scommessa bilaterale sui tassi futuri, con la finalità di fare guadagnare o perdere la parte contraente a seconda della periodica rilevazione degli stessi, generando flussi finanziari corrispondenti”.
E dunque, se di scommessa lecita si tratta, deve avere arguito la Corte d’Appello bolognese, “è evidente che ognuno degli stessi contraenti deve mettere in conto al momento della stipulazione non solo il proprio guadagno, ma, come in ogni gioco d’azzardo, anche di perdere, e quindi di dover pagare – ossia divenire debitore di – una certa somma nei confronti della controparte”.
In un successivo inciso, gli stessi giudici, sgomberando il campo da ogni dubbio sul punto, hanno poi ribadito la presenza di una “potenziale passività insita in ogni contratto di swap” (cfr. a pag. 12 della sentenza).
Gli aspetti più significativi della sentenza in commento sono dunque i seguenti: innanzitutto vi si sostiene – in via inedita per il contenzioso riguardante gli enti locali – una nozione del derivato quale forma di indebitamento tout court per la parte pubblica e, al contempo, uniformandosi ad analoghe statuizioni di altri organismi giudiziari, si qualifica lo stesso contratto come una scommessa.
Sotto il primo dei due citati profili, è importante osservare come la Corte bolognese si sia posta in evidente contrasto con la diversa nozione propugnata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze nella sua circolare del 22 giugno 2007 (pubblicata in G.U. 2 luglio 2007, n. 151) laddove si è affermato che gli strumenti finanziari derivati, lungi dall’essere delle forme di indebitamento per un ente pubblico, si configurerebbero come meri strumenti di “gestione del debito”.
Sotto il secondo profilo, nel fornire la sua qualificazione del contratto di swap come una scommessa, il collegio emiliano ha mostrato di aderire espressamente al recente orientamento giurisprudenziale inaugurato dal celebre arret della Corte d’Appello di Milano dello scorso anno e che tanto sta influenzando gli “addetti ai lavori” (sentenza n. 3459 del 18.9.2013, già commentata su questo sito).
Inoltre, la statuizione dei giudici bolognesi assume una peculiare rilevanza nel campo della finanza degli enti pubblici territoriali poichè apre la strada a molteplici ipotesi di irregolarità del procedimento amministrativo fungente da presupposto per la successiva approvazione del contratto derivato con la banca.
Com’è noto, nel campo dei contratti stipulati da enti pubblici sussiste un nesso ineludibile tra la preliminare fase a contenuto autoritativo, tutta interna alla pubblica amministrazione (e consistente in una seria di atti procedimentali attraverso cui viene a formarsi la volontà negoziale del contraente pubblico) e la successiva fase negozial-privatistica, consistente nella stipula del contratto vincolante tra le parti.
Se la fase pubblicistica viene ad essere in qualche modo inficiata da vizi formali o sostanziali che intaccano la regolarità del procedimento, ecco che si apre la vexata quaestio (su cui a lungo si è dibattuta la giurisprudenza del Consiglio di Stato e delle Sezioni Unite della Cassazione) circa la sorte che, per via di tale irregolarità, subisce il contratto medio tempore stipulato tra soggetto privato e P.A. [1]
La pronuncia in rassegna, una volta riconosciuti come effettivamente sussistenti alcuni vizi nel procedimento amministrativo attraverso cui il Comune di Cattolica era giunto all’approvazione dei tre contratti interest rate swap conclusi tra il 2003 e il 2004, ha accolto il gravame dichiarando la nullità e comunque annullando e dichiarando inefficaci tutti e tre i contratti.
Nessun dubbio ha investito la Corte circa la sua facoltà di sindacare ed esaminare incidenter tantum i suddetti vizi del procedimento amministrativo, avendo essa aderito a quella tesi largamente accolta in dottrina e in giurisprudenza (da ultimo con Cass. civ., SS.UU., sent. n. 5446 del 2012) secondo cui rientra sempre tra i generali poteri del giudice ordinario quello di disapplicare gli atti amministrativi da lui stesso ritenuti illegittimi (come previsto dall’art. 5, legge n. 2248 del 1865, all. E).
Nel merito dei vizi procedimentali riscontrati nella nostra fattispecie, i giudici bolognesi hanno rilevato e ritenuto – tra i tanti aspetti critici – in particolare quanto segue:
- in primo luogo, tutti gli atti di approvazione dei contratti swaps avrebbero dovuto essere assunti dal Consiglio Comunale e non dal funzionario dirigente preposto al settore affari finanziari (come avvenuto in ispecie), stante la competenza funzionale inderogabilmente assegnata all’organo consiliare dall’art. 42 TUEL ogniqualvolta si tratti di “spese che impegnano i bilanci per gli anni successivi”;
- l’accensione degli swaps avrebbe dovuto essere preceduta da apposito impegno di spesa (di fatto mai adottato) all’interno del relativo bilancio di previsione, come imposto dall’art. 203 TUEL;
- l’indebitamento per derivati avrebbe potuto essere assunto solo per finanziare spese in conto capitale ossia investimenti, unica modalità invero consentita dall’art. 202 TUEL ma di cui non vi era traccia negli atti approvati dal Comune di Cattolica.
In conclusione, non è difficile prefigurare che i medesimi vizi del procedimento amministrativo “a monte” che hanno riguardato la vicenda del Comune romagnolo all’atto dell’accensione dei suoi contratti swap possano essersi verificati in molte altre vicende analoghe che vedono oggi impegnati gli enti territoriali italiani in battaglie giudiziarie intraprese contro le banche al fine di salvaguardare l’interesse della collettività e la stessa capacità di spesa della pubblica amministrazione: per le ragioni evidenziate, quindi, la pronuncia della Corte d’Appello di Bologna, qualora dovesse “fare scuola”, potrebbe risultare decisiva nel convincere molte amministrazioni locali ad agire in giudizio onde liberare i propri “portafogli” da contratti derivati dimostratisi in fin dei conti dannosi per i loro bilanci.
* * *
Link al provvedimento:
http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/fin.php?id_cont=10296.php
Note:
[1] Tradizionalmente, la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione aveva inquadrato il problema in discorso nella tematica del vizio della legittimazione a contrarre da parte dell’organo esprimente la volontà dell’ente con la conseguente annullabilità relativa del contratto su domanda della sola P.A. (ex multis, Cass. civile, sez. II, 21 febbraio 1995, n. 1885 e 8 maggio 1996, n. 4269); viceversa, nella giurisprudenza del giudice amministrativo e soprattutto in materia di appalti pubblici, ha prevalso per molto tempo la tesi della “caducazione automatica” del contratto, secondo cui la fase di evidenza pubblica costituisce un requisito legale di efficacia del contratto, il cui venire meno determina il travolgimento automatico del negozio, in forza del principio generale simul stabunt, simul cadent, proprio anche dei negozi giuridici privati collegati in via necessaria (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 5 maggio 2003, n. 2332 e 4 aprile 2007, n. 1523). Con l’avvento del nuovo codice del processo amministrativo (d. lgs. n. 104/2010) si è infine imposta la nozione di inefficacia del contratto.
10 Settembre 2014 Nessun commento
IL RUOLO DEI DERIVATI FINANZIARI NELL’ECONOMIA GLOBALE E NELLO SCENARIO ITALIANO (2^ PARTE)
di Giuseppe Angiuli
Seconda parte dell’articolo pubblicato sulla rivista “Indipendenza” n. 36, luglio/agosto 2014
(qui la prima parte)
1 Settembre 2014 Nessun commento